Alla fine degli anni ’70, malgrado la sua passione per l’insegnamento, il Professore fu costretto a lasciare Roma. La Sapienza era il miglior posto per svolgere la sua professione, ma al momento, di soldi se ne vedevano davvero pochi e in rapporto allo sforzo, anche fisico, che richiedeva lo studio, le soddisfazioni economiche erano praticamente nulle. “Non riuscivo neanche a trovare i soldi per offrire un caffè: che futuro avrei potuto avere, lì?”
Si sposò, abbandonò l’Università ed arrivò qui. “Con il mio curriculum non mi fu difficile trovare posto in ospedale: divenni primo assistente del Primario, che però significava lavorare come un matto e prendermi pochissimi meriti: almeno guadagnavo bene.”
Per qualche anno la questione di Cestoni e della rogna passò in secondo piano:”Sono stati anni in cui la mia maggiore aspirazione era quella di chiudere la porta dello studio, in ospedale, e buttarmi per terra supino per riposare 15 minuti: non un giorno di ferie, giornate che iniziavano alle 7 e finivano non so quando, turni notturni massacranti, che passavo a scucire brandelli di pelle da una parte e riattaccrali dall’altra; ustioni terribili e malattie della pelle che solo io sapevo riconoscere; e più risolvevo casi, più arrivava gente da tutte le parti d’Italia, e poi dal resto d’Europa e infine da mezzo mondo. Un inferno.”
Col tempo divenne Primario e cominciò a recuperare un po’ più di spazio per mettersi a studiare la Storia della Medicina, quella Storia che era stato costretto ad abbandonare qualche anno prima. Quel tarlo su come un uomo come Cestoni avesse trovato la soluzione al problema della rogna – perché a suo modo, il ruolo di Bonomo fu praticamente di contorno, e come invece quella scoperta fosse stata propalata al Pubblico del Mondo, era un fastidio insopportabile.
Il suo amore per la Storia della Medicina non passò inosservata in Facoltà. È vero, lui era un ospedaliero, un internista, “non ero un macellaio che appena vedeva un pezzo di carne umana ipotizzava quale fosse il modo giusto per affettarla, ma neanche un universitario che invece si occupava di ricerca e metteva poco le mani in pasta: ero un alieno, lì in facoltà; ma ne sapevo più di un chirurgo o di un professore universitario.”
In sintesi, fu il primo ospedaliero ad insegnare Storia della Medicina in Facoltà; e quel corso, quello di Storia della Medicina, fu creato appositamente per lui.
Ma il risultato fu, che se prima aveva poco tempo per risolvere quello che lui era ancora un mistero, poi non ne ebbe praticamente più.[segue]
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