Finalmente il Professore, poteva dare una forma istituzionale alle sue ricerche. Malgrado il suo lavoro in clinica non subisse flessioni, ora aveva i suoi studenti in Facoltà a dargli una mano e nuovi stimoli.
Come sua abitudine, anche in questo caso, non si fermò davanti a quanto gli veniva riferito di seconda mano da testi anche illustri, ma andò alla fonte. Così, nel 2005, scrisse alla Biblioteca Città di Arezzo, chiedendo copia di qualsiasi documento che avesse una qualche attinenza con la vicenda che stava studiando. La risposta non tardò e si concretizzò nella copia del Manoscritto originale che Giovanni Cosimo Bonomo aveva inviato a Francesco Redi per illustrargli i risultati della sua scoperta. Il documento era avvolto in un rotolo, anche esso una fotocopia, che il Professore appoggiò da qualche parte nel suo studio e che dimenticò lì.
Ora aveva tutto: le Osservazioni (che poi chiamerà Stampa Redi); il Manoscritto 301 (che il Professore chiamerà Manoscritto Cestoni) che Bonomo aveva inviato a Redi per comunicargli la scoperta sua e di Cestoni; una gran parte dell’Epistolario Cestoni-Vallisnieri, che era un po’ la summa del pensiero di Giacinto Cestoni. Bastava raffrontare i documenti originali, di altro, non aveva bisogno.
I risultati del raffronto furono devastanti.
Il Manoscritto 301 (Manoscritto Cestoni) era un testo di una precisione folgorante. Senza tentennamenti, senza remore, dichiarava esattamente ciò che per il suo estensore (da tutti considerato Bonomo) aveva scoperto: cioè, che la rogna era male di acaro e non di umori guasti corrotti. Le Osservazioni (la Stampa Redi), partivano molto bene, seguendo quasi pedissequamente il descritto dal Manoscritto Cestoni, per poi, via via discostarsene ed arrivare a negarne le evidenze. Infine, nelle ultime facciate, si parlava di tutto fuorché della rogna ma si riprendeva il vecchio ‘Esperienze intorno alla Generazione degli Insetti’ che Redi aveva pubblicato quasi venti anni prima.
In pratica, il Manoscritto era stato snaturato e gli erano state aggiunte parti che Bonomo non aveva mai scritto.
Questa ‘manomissione’ era nota agli storici come un ‘ingentilimento’ del testo, troppo forte e diretto, inaccettabile per lo spirito del tempo. L’opera che avrebbe fatto Redi sarebbe stata appunto quella di addolcire la verità di Bonomo (e di Cestoni): solo che quell’ “addolcire” non era tale; era piuttosto uno “stravolgere” il senso di tutta l’opera.
Ma c’era molto di più: e anzi, era proprio quello che stava per scoprire il Professore, ciò che avrebbe cambiato le carte in tavola del gioco sulla rogna. [segue]
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