“Sarei diventato un bravo dirigente in qualche ufficio pubblico qua intorno; ero bravo, ce l’avrei fatta sicuramente: ma io non volevo questo.”
È il problema di quelli bravi. Quando dico “bravi”, non intendo chi ha talento, che il più delle volte si perde dietro il racconto che fanno gli altri si sé; intendo chi sputa sangue per guadagnare un centimetro di terreno, chi suda su degli appunti copiati chissà quante volte; chi tiene la testa bassa e vede un solo punto, laggiù in fondo e tutto il resto che ha intorno scompare.
Il problema di gente come il Professore è che nessuno abbia la possibilità di assecondare quel valore; a lui è andata bene..
Il Professore ha sempre studiato fin quando ha potuto farlo. E lo ha fatto non perché questo gli procurasse un vantaggio o un guadagno: lo faceva e basta; e in un modo fisico, non intellettuale, come se davanti non avesse un testo di latino o di matematica ma 10.000 metri da correre in meno di 26 minuti, da morire senza più fiato.
Lo prendono in giro in classe, è un contadinotto neanche troppo forte, i contadinotti puzzano di stabbio ma sono molto forti lui invece non puzza e sembra molto gracile: che diavolo di attrezzo è? A scuola è bravo, ovviamente e si accorgono subito di lui, ma i soldi sono pochi, a Roma dovrebbe andare, per mettere a frutto quella sua smania; ma Roma anche se non è distante è molto lontana da queste terre della Salaria Gallica, incassate tra una forra e una macchia. Ma la sua maestra è irremovibile, s’impunta: questo ragazzo deve andare avanti!
E va avanti e poi indietro e poi avanti ancora, sballottato tra Roma e il suo paesotto, poi Ascoli Piceno e poi Roma ancora. Viene il diploma di maturità scientifica in un periodo in cui quella maturità, in Italia, era una specie di Master ad Harvard di adesso. E adesso viene il bello; perché di soldi non cene sono per fare l’Università.